...il vento, le onde e le montagne, sono sempre dalla parte dei navigatori e scalatori più abili.



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EVVIVA L'AVVENTURA
 

DIARIO DI BORDO

Giliola, autrice del diario
Alle isole Cornati

Sabato 24.06.2006Guido controlla l'imbarcazione

La “compagnia dei naviganti” è composta da 9 persone: lo skipper Bepi Hoffer (di Pergine), Guido, Daniela e Valentina, Attilio, Wanda, Sebastiano di 9-10 anni), Bruno  e io, Giliola.
La barca a vela, presa a noleggio da Bepi, ed è una “Gib’sea 51”; ha cinque cabine con relativo WC e 10 posti letto.
Si parte dalla “Marina” di Veruda, località poco distante da Pola, più verso la punta dell’Istria. La Marina è bella, ben curata. Mi dicono che questo porto è molto più bello di quello di Pola.
Dopo essere arrivati al mattino verso le 10.30, Bepi deve sbrigare tutte le formalità per la presa in consegna della barca. In porto ci sono barche molto belle.
Andiamo a pranzo nel paese di Veruda al ristorante “La Lanterna”, dove si mangia pesce ottimo ed il proprietario – gestore parla italiano molto bene. Il ristorante si chiama così in ricordo di suo padre, che per 18 anni era stato custode del faro Pòrer. Per arrivarci a piedi ci vogliono circa 15-20 minuti: percorrere tutta la banchina della marina (in direzione verso il mare aperto) e, proseguendo sulla strada, agli incroci imboccare sempre la via di destra, in discesa; si arriva al lungomare del paese (c’è un parco giochi in acqua), lo si percorre finché si arriva alla fine della strada lungo il mare, nel senso che la strada fa una brusca curva a 90° verso sinistra e risale verso il paese; si percorre ancora un pezzetto di strada (circa 200 metri): il ristorante è all’incrocio, sulla destra. Mangiamo, in particolare, datteri di mare (squisitezza ...: mi pare di capire che, a richiesta, si trovano solo il sabato ed il venerdì), tartufi di mare, polipo, piovra, seppie, coda di rospo, insalata di patate e polipo (tipica insalata istriana), sarde ripiene ... Tipici della Croazia sono anche i “cevàpcici” (cilindri di carne macinata e speziata), la “palacinka” (come dolce: omellette con marmellata), spiedini di carne (non ricordo il nome).

Bepi e Bruno impegnati alla partenzaSi salpa l’ancora verso le 18. Il tempo è bello e sereno, il mare calmo. Si lascia a destra il faro Pòrer. Ci fermiamo all’ancora nella baia di Médulin, a est della punta della penisola istriana. Médulin si riconosce dai due campanili paralleli che spuntano dietro le colline, verdissime di pini imponenti sotto i quali ci sono i campeggi. Si fa il bagno all’imbrunire con il cielo in fiamme (acqua calda, piacevolissima, dopo una giornata afosa). Cena a bordo (insalata di pomodori, cetrioli, fetà, cipolle bianche, peperoni). Le cuoche sono Wanda e Daniela.

Domenica 25.06.2006

Il mare è calmissimo, liscio come l’olio. Dopo circa due ore e mezza di navigazione si getta l’ancora in una piccola baia dell’isola Unie, che si allunga davanti all’isola di Lussino (cioè a ovest di Lussimpiccolo), che si intravede in lontananza. Si fa il bagno verso le dodici e si va, a nuoto, a riva. Pranzo a bordo, preceduto da aperitivo (prosecco, olive): insalata greca, spaghetti al pesto. Si riprende la navigazione verso le 14 e dopo circa tre ore si “parcheggia” la barca ad un gavitello di prua proprio davanti a Premuda, vicino alla sponda opposta a quella del paese (isola lunga, poche case, chiesetta con campanile in mezzo alla facciata). Si fa il bagno. Guido e Sebastiano raggiungono a nuoto la piccola scogliera “selvatica” e la risalgono a piedi fin sul crinale (scarpette adeguate!), suscitando spavento ed angoscia nei moltissimi gabbiani che la abitano e la presidiano a difesa dei loro nidi.
Si affiancano alla barca due poliziotti: chiedono i documenti della barca e dello skipper (se ci si ferma di notte si deve pagare un tanto per la barca ed un tanto a persona).Si riparte verso le 18.30. Verso le 20.30 si entra nella baia dell’isola Ist, dopo una navigazione tra piccolissime isole. Raggiungiamo una barchetta da pesca, bella, che sta rientrando “a casa”. Al pescatore chiediamo se ha pesce da venderci: non ne ha (“forse domani mattina verso le 10”). Qui tutti capiscono e parlano, poco o tanto, l’italiano. Proviamo ad approdare legando la barca alla banchina, ma da terra ci fanno segno che non si può: verso le 21 arriva il traghetto. Allora leghiamo la barca ad una boa e ci ancoriamo poco distante. Bepi dice che sulla riva destra (entrando in rada) c’è un ristorante dove si mangia bene: lo si vede dalla barca perché è segnalato da tre bandiere a “striscione” verticale. Lussuoso aperitivo, di cui si occupa con attenzione Bruno: Rotari, pistacchi, formaggio
, grissini, salame del Crucolo. Attilio e Sebastiano (in veste di “soprano”) ci deliziano con il duetto dal Don Giovanni di Mozart. Intanto Wanda, Daniela e Valentina preparano la cena squisita (tagliatelle, macedonia-sangrilla con teroldego e, per brindare, vino bianco). Sebastiano pesca fino a notte, con la pila frontale, ma ai pesci non piace il formaggio, né il salame. Sera calma e serena, non c’è vento, il mare è liscio. Dopo cena Bepi ci mostra un DVD: riprese del suo base-jamping dal Brento e dei suoi atterraggi con il parapendio sulla cima Tosa e sul Cervino, oltre che dei lanci con la “tuta alare” inventata dal francese Bonnard (?), morto qualche tempo fa proprio per un lancio errato con questa tuta.

Lunedì 26.06.2006

Si parte verso le 8.30 – 9. C’è un bel vento, fa quasi freddo, il cielo non è limpidissimo. Finalmente si va a vela. Si incrocia il barchino di un pescatore, che ci vende un polipo (10 €uro). Appena fuori dalla baia cala il vento: di nuovo a motore. Il mare è calmissimo. Il panorama è suggestivo: si naviga come scorrendo in un largo canale fra isole lunghe. Verso le 12.30 si “approda”, con attracco ad un gavitello, in una bellissima baia perfettamente rotonda, “chiusa” da un’isola rotonda (isola Utra) posta proprio in mezzo all’entrata della baia: lascia libero il passaggio per l’entrata e per l’uscita delle barche a destra e a sinistra (una specie di senso unico ...). E’ la baiaGiliola e Bepi alle Kornati di Lucina. C’è un piccolissimo paese con darsena sulla sinistra (entrando). Siamo più vicini alla sponda destra, delimitata, a pochi metri dal mare, da un muretto di sassi a secco (muretti tipici di queste isole), oltre al quale c’è fitta vegetazione selvatica. Si fa il bagno. L’acqua non è molto calda, ma piacevole. Guido e Sebastiano vanno a nuoto fino a riva con l’incarico di trovare rosmarino e salvia selvatica, ma tornano a mani vuote. Nel frattempo sta cuocendo (da un’ora e mezza!) il polipo, pulito a regola d’arte da Bruno. Il pranzo è servito: ottima insalata, appunto, di polipo (un po’ duro ...), patate arrosto, peperoni, capperi e ....
Si riparte subito dopo pranzo, verso le 14. Si naviga per diverse ore (naturalmente verso sud – sud/est) in mezzo alle isole, coperte da vegetazione folta, verdissima e selvaggia.
Verso le 17 arriviamo nella zona delle isole Incoronate (Kornati), la nostra meta. Le isole sono “parco naturale”. Il paesaggio è davvero suggestivo e sorprendente. Sono isole brulle, sembrano cime di alta montagna, arrotondate, coperte di prati stepposi dai quali spicca qualche albero isolato, rigoglioso e panciuto. Sembrano pini mediterranei dalla forma strana (probabilmente sono lecci). Il mare è così calmo da sembrare lago, con isole e isolette surreali. Verso le 17.30 – 18 si attracca al piccolo molo dell’isola Katina: c’è solo il molo ed il ristorante, suggestivo, con terrazzo all’ombra di vasi di pini, di oleandri, olivi: che si chiama, appunto, ristorante “Katina”. All’ormeggio ci sono molte barche belle e lussuose. Daniela, Valentina, Guido, Bruno e Bepi vanno a vedere “la partita” (Italia-Australia) al bar del ristorante. Io mi avvio a piedi lungo la riva (sassosa, aspra: non si può camminare senza scarpe) e, con i sandali, vado a fare il bagno verso la punta dell’insenatura, mentre la famiglia di Attilio fa il bagno partendo dalla barca. L’acqua è calma, liscia, piacevolmente calda: ma non è proprio pulitissima.
Non si può fare la doccia al ristorante. Si possono utilizzare solo i WC ed i lavandini. Domani mattina ci permetteranno di imbarcare acqua (ma non tanta quanta ne vorremmo). In attesa della cena a base di aragoste, prenotata per le 21, Guido, Bruno, Attilio ed io ci “arrampichiamo “ su per il sentiero che parte dal ristorante, lo aggira, e, alla piccola sella, gira verso destra, su verso la cima dell’altura sovrastante. Io ho ai piedi i sandali marrone, ma sono appena appena sufficienti, ci vorrebbero almeno scarpe da ginnastica perché si deve camminare su sassi taglienti e rocce bucherellate, tormentate, carsiche. Arriviamo fino alla croce ed ai curiosi cumuli a piramide di sassi. Da qui si gode un panorama di ampio respiro, spettacolare, bellissimo, nel tramonto calmo e luminoso. C’è tanta salvia selvatica, profumata.
Cena a base di spaghetti con astice, aragosta ed altri pesci: buonissimi. Ci sembra che il conto sia abbastanza salato (circa 45,00 – 50,00 €uro a testa = circa 350 kune), ma domani ci renderemo conto che nel prezzo è compreso l’attracco al molo ed il rifornimento di acqua. In barca, Attilio ci canta alcune canzoni-cabaret. 

Martedì 27 giugno

MI sveglio alle 8.30. E’ bel tempo, caldo. Guido e Daniela sono saliti di buonora sull’altra “cima”, a sinistra del ristorante, e scesi fino ad un’altra piccola baia. Dicono che c’è un molo ed una simpatica casa sul mare, in mezzo all’ombra di alberi maestosi: è un posto “per picnic” per i turisti portati fin là dai “barconi”. Si sono deliziati con un bagno in mare piacevolissimo.
Prima di ripartire si deve aspettare non meno di un’ora per poter imbarcare acqua. Wanda, Attilio, Sebastiano, Valentina, Bruno ed io a piedi risaliamo allora la costa fino alla “forcella” e quindi, anziché salire sulla cima di ieri, scendiamo dall’altra parte, fino ad una baia deserta che ieri abbiamo visto sotto di noi dall’alto. Ci vogliono le scarpe o almeno i sandali. Si fa un bagno stupendo: acqua pulita e calda. A Valentina prende un crampo all’alluce di un piede: doloroso, ma, per fortuna, ormai lei è fuori dall’acqua. Bruno riesce a curarla e a sbloccare il piede.
Si salpa. Si aggira una punta lasciando, sulla sinistra, un faro. Si imbocca una specie di largo fiordo (“Luka Telašćica) suggestivo tra lunghe file di isole ed infine si getta l’ancora molto vicino alla riva, in una piccola insenatura, non molto più in là di un gruppo di barche attraccate ad un molo che lasciamo alla nostra sinistra. Al di là del crinale sopra il molo c’è il “Lago Salato”, che però non visitiamo: è caldo, preferiamo fermarci a fare il bagno. Mentre, a bordo, si pasteggia di gusto, si affianca alla barca un gommone con due guardiani a bordo, che ci fanno pagare il biglietto “di ingresso nel parco delle Incoronate (”Telašćica Sali-Hrvatska”): 50 kune a testa (= circa 7,15 €uro).
Si comincia infine il viaggio di ritorno. Si va verso l’isola Iž
. Il mare è calmissimo, poco vento. Ogni tanto si può issare le vele. Verso le 19 si arriva nel “canale”. Alla nostra sinistra si allunga appunto l’isola Iž e alla nostra destra l’isola Knezak, al di là della quale c’è Zara (Zadar). Passiamo oltre il paesino di Knež, alto sul crinale dell’isola Iž. Dopo il bagno (barca all’ancora) si va ad attraccare al molo della “marina” del paesino di Iž Veli. Mentre alcuni vanno a fare la spesa (si spende poco), io vado a fare un giretto. Case e casette arrampicate sulla costa ripida, tutte in via di abbellimento; tanti piccoli e piccolissimi orti. La chiesa è chiusa. La “piazza-strada” del porto è tenuta in modo molto accurato. I servizi della “marina” (docce, WC) sono pulitissimi, con acqua calda. Alle 21 andiamo a cena alla trattoria  “Konoba Luzarija”. E’ molto “alla buona”, con tavoloni “paesani”, gente gentile e premurosa (una delle signore parla un po’ di italiano). Si mangia la specialità di spiedini di carne, tipica della Croazia; Bepi ed io mangiamo però un pesce fresco ciascuno (non ce ne sono più per gli altri): non sappiamo che pesci, ma sono buoni. E poi: insalata di “capussi” freschi a volontà, patatine fritte, vino bianco “della casa” sfuso, birra. Bruno infine si prende il dessert tipico, di cui è goloso: la palacinka, in pratica omelette con marmellata. Si spende pochissimo: circa 13,00 €uro a testa.
Si torna in barca e io dormo come il ghiro fino alle 8.30 della mattina dopo. In porto ci sono molte barche, una più bella dell’altra. C’è anche una nave-cisterna grigia. Si paga la “tassa” per l’attracco. Ne vale la pena. 

Mercoledì 28 giugno

Prima della partenza Bruno ha comprato ottimi fichi freschi. Guido e Daniela sono andati a fare un giretto in paese. Si salpa verso le 9. Mare sempre calmissimo. Il cielo è un po’ velato. Fa caldo. Transitiamo lungo la costa dell’isola ............., , scivolando davanti al villaggio. C’è un funerale: la gente, in processione, con dei labari, entra nella chiesetta, in riva al mare.
Si decide di spostarsi per provare ad attraccare al piccolo molo del faro dell’isola vicina. Si prova, ma il fondale è troppo basso. Il faro è bello, la costruzione è piuttosto grande, dotata di ampia abitazione, che appare però disabitata (nessuno vive più isolato nei fari, come una volta).
Si riparte e si risale verso nord fino ad una bella, ampia insenatura dell’isola posta sulla sinistra rispetto alla nostra direzione............ , sulla quale si affaccia, un po’ arretrato, rispetto alla costa, un villaggio: spunta un campanile semplice, a punta, giallo, che piace tanto a Daniela. Ci ancoriamo in una piccola cala orlata di vegetazione fitta fitta fino al mare. Il posto è molto bello, l’acqua calda, bella: si può stare in acqua molto molto a lungo. Sebastiano, aiutato da Bepi, pesca dei paguri. Dopo il pranzo (speck, salame, formaggio, ecc. ) c’è calma assoluta e fa caldo. Tutti si fa la “siesta”. Alle sei del pomeriggio di nuovo facciamo il bagno: il mare è liscio come l’olio.

Si riparte. Il cielo è velato, c’è una luce strana, argentea. Si avvicina un gommone con a bordo un giovane che chiede aiuto per un caicco, carico di turisti, dal quale proviene e che vediamo in lontananza. Sembra parlare solo inglese (oltre che la sua lingua). Dice che il caicco è in avaria, si è bloccato il motore. Valentina fa da interprete. Per conto di Bepi dice che noi siamo disposti a prestare soccorso e a trainare in porto il caicco. Però Bepi comunicherà subito alla capitaneria di porto più vicina, via radio, la segnalazione formale dell’”emergenza”. Allora il giovane fa capire che la cosa non gli fa piacere e poiché a questo punto il caicco sembra aver ripreso a navigare regolarmente, si allontana ringraziando e assicurando che non ci sono problemi (“no problem ...”). Bepi mi dice che bisogna fare molta attenzione prima di prestare questo genere di soccorso: sono barche gestite al solo scopo di sfruttamento intensivo di turisti, poco equipaggiate e poco tenute in ordine, probabilmente con pochissimo carburante, per risparmiare il quale si chiede di essere trainati con la scusa del blocco-motore. Dal nostro punto di vista diventa impossibile recuperare la spesa se non si segnala l’emergenza. Se però queste barche-turistiche richiedono soccorso troppo spesso, la capitaneria revoca la licenza al titolare.
Proseguiamo la navigazione in un mare calmissimo, grigio, luminoso. Non si vedono altre barche in questo surreale deserto d’acqua. Improvvisamente, in questa luce particolare, proprio al tramonto spunta un branco numeroso di delfini, che saltano e si tuffano nell’acqua liscia d’argento. E’ emozionante. Bepi dirige subito la prua verso i delfini, che non si lasciano raggiungere. Ma un gruppetto di 4-5 si stacca dal branco e viene decisamente verso di noi: devono pur vedere chi siamo!  Si avvicinano, saltano e si immergono eleganti, passano sotto alla nostra barca e poi si allontanano. Bellissimi!
Infine si va ad approdare ad un gavitello in una insenatura dell’isola Silba: e precisamente al “porto Sant’Antonio”, che si trova sulla sponda opposta del centro abitato (cioè sulla costa ovest dell’isola). Da qui il villaggio non è visibile, ma lo si può raggiungere a piedi in circa 20 minuti, attraverso un largo sentiero nel bosco fitto … regno di ragni enormi!. Ormai è quasi notte. Si avvicinano in barca due guardiani vestiti di giallo. Uno di loro parla italiano abbastanza bene (ha lavorato nel Veneto). Ci fanno pagare il “parcheggio” come se la barca fosse di 15 metri ed i passeggeri 6: 153 kune. Si cena a bordo. Per tutta la sera, per almeno un paio di ore (ormai è notte e gli altri gabbiani sono andati a dormire), un gabbiano galleggia tranquillo a qualche metro dalla poppa, vicino al tender. Si accontenta di qualche pezzetto di formaggio e attende paziente il lancio del boccone, senza importunare. Forse spera di procurarsi almeno un pesciolino, visto che Sebastiano si ostina a voler pescare con canna ed amo, ma i pesci non abboccano: eppure se ne vedono tanti e grossi. Verso le 23 Guido e Sebastiano fanno ancora il bagno.
La piccola baia è graziosissima. A riva, in mezzo ad un prato circondato dal bosco, c’è una chiesetta. E’ del ‘700, dedicata appunto a S. Antonio. I guardiani ci dicono che è un ex voto. Quando la bora soffia cattiva, il mare è pericoloso, qui si è completamente al riparo.  

Giovedì 29 giugno

Guido e Daniela sono andati di buonora al paesino, sbarcando a riva con il piccolo canotto (il tender) a remi di bordo e poi attraversando il bosco con relativi ragni e tele di ragno. Dicono che il villaggio non sembra entusiasmante.
Si leva l’ancora verso le 8.30 – 9. C’è bel venticello e si naviga a vele spiegate. Vediamo un piccolissimo molo, accanto ad una villa in apparente abbandono, circondata da mura a protezione di quello che doveva essere un graziosissimo giardino alberato. Proviamo ad attraccare, ma l’acqua è troppo bassa. Io non faccio il bagno perché l’acqua è freddissima, a detta di Wanda e degli altri che vi si avventurano. Guido e Sebastiano nuotano verso riva (devono “conquistare” tutte le isole in cui ci si imbatte). Sebastiano va a sbattere contro due o tre meduse e perciò risale di corsa in barca. Effettivamente ci sono parecchie meduse, piccole e rosa. Cercando cercando lungo la costa dell’isola (o quella vicina, un po’ più a nord?), si arriva infine in una piccola cala quasi in fondo ad una sorta di fiordo: acqua bellissima, calma, blu–turchese fino a riva. I pini arrivano fin quasi a toccare l’acqua. Si vedono e intravedono molti muretti di sassi a secco, costruiti sulla ripida costa evidentemente molti molti anni fa (un centinaio?) per recintare, terrazzare e ricavare fasce di piccoli orti, ora del tutto inselvatichiti. Prima di approdare qui avevamo provato a fermarci in un’altra piccola cala, lungo una specie di canale fra due isole, che però si è rivelata, anch’essa, infestata da meduse. Solo per poco tempo si è potuto andare a vela. Il tempo è sempre bello, anche se qualche nuvolaglia “a pecorelle” c’era, ma poi si è risolta.
Si mangia a bordo di gusto: fagioli, cipolle, “capussi”, tonno,”tartine” di pane e pomodori a bruschetta, vino bianco di S. Michele e Rotari freschissimi; infine macedonia .
Subito dopo il pranzo faccio il bagno lungo e ristoratore (digestivo …!), perché fa caldo afoso. Si riparte e si arriva all’isola di Lussino. Entrando nel golfo di
Lussinpiccolo (Veli Losijni), prima di arrivare in porto, sulla sinistra c’è un distributore di carburanti nuovo: si attracca e, mentre si fa rifornimento, scendiamo sulla banchina e ci mangiamo un gelato comprato nel piccolo “supermercato” della stazione di servizio, dove c’è anche il bar, oltre che servizi pulitissimi.
Si riprende il largo e, uscendo dal golfo di Lussino, andiamo verso nord a cercarci un’altra isola lì vicina con l’intenzione di passarvi magari la notte, senza tornare a Lussino, che alcuni passeggeri già conoscono: ci ancoriamo e via ...: bagno di lusso, riposo, calma. E poi ancora bagno e abbuffata di tuffi di Sebastiano dall’alto della prua. Verso le 18 si decide però di proseguire il viaggio per un paio di ore per portarci più verso il Quarnaro. E così Bepi e Guido iniziano la manovra per issare l’ancora. Brutta sorpresa! Il motore funziona, ma la leva del comando non ubbidisce: l’invertitore di marcia si è rotto e la barca va solo indietro. Bepi prontamente riesce, per un pelo, a tenere a freno la barca per non andare a sbattere contro la fiancata della barca ancorata vicino a noi. Piano piano, a retromarcia, si esce dalla baia. C’è pochissimo vento, non si può proseguire. Bepi chiama la capitaneria di porto di Lussino, che ci manda, in perlustrazione, un poliziotto che, con la fidanzata, è nei paraggi, fuori servizio, per i fatti suoi e con un suo piccolo gommone a motore. Bepi spiega l’accaduto e prega che non solo il giovane ci scorti e ci preceda, ma che ci traini in porto. Il poliziotto nicchia. Poi si capisce che non vuole rimetterci il carburante a causa del traino. Gli si promette che gli paghiamo 30 €uro e così ci aggancia. Quando arriviamo all’altezza del distributore di benzina è quasi notte. Dobbiamo arrivare fino alla banchina, a fianco del distributore. Il poliziotto, veramente, vorrebbe mollarci e farci ormeggiare ad un gavitello, ma Bepi si rifiuta ed insiste per attraccare ad un molo: rimanere in balia di un gavitello, senza possibilità, all’occorrenza, di manovrare bene la barca è pericoloso, anche perché le previsioni del tempo non sono buone. A fianco del distributore, lungo la banchina, c’è posto vicino ad una lussuosa barca di inglesi (americani?). La manovra di attracco è molto difficile e pericolosa, la barca è quasi ingovernabile e, surriscaldandosi, “va a farsi benedire” anche il motore di prua sinistro (domani, buono buono, riprenderà a funzionare). Il gommone del poliziotto rimane pericolosamente schiacciato tra la banchina e la nostra barca, si spostano rapidamente tutti i parabordi nostri e anche quelli della barca degli inglesi (che nel frattempo sono accorsi a dare una mano per prendere le cime che vengono lanciate dalla nostra barca), il grosso pallone paraprua e poppa si schiaccia lungo la fiancata e si assottiglia tanto che sembra non reggere l’urto e scoppiare. Però tutto riesce a regola d’arte, senza danno, e Bepi può tirare un respiro di sollievo. Domani mattina, verso le 7.30, tornerà il poliziotto per concordare con Bepi il da farsi e per cercare chi possa verificare che cosa esattamente si è rotto e aggiustare il guasto. Naturalmente Bepi telefonicamente avvisa dell’accaduto la compagnia noleggiatrice della barca. Verso le 22, finalmente ed allegramente, si cena. Siamo al sicuro. Nel frattempo abbiamo capito che abbiamo attraccato, in realtà, non ad un molo qualsiasi, ma ad una “marina”: paghiamo la sosta. I servizi, che si trovano un po’ più avanti (camminando verso Lussinpiccolo), lasciano molto a desiderare e sono quasi “nascosti”, sulla sinistra in un piccolo edificio con delle scale di accesso, dipinto di bianco.
Bepi, Bruno e Guido hanno ancora la baldanza di andare, passeggiando, fino a vivere la notte sul lungomare di Lussinpiccolo. 

Venerdì 30 giugno

Sveglia alle 7.30. Bepi, d’accordo con il poliziotto e con la società noleggiatrice della barca, decide di non denunciare formalmente l’”emergenza”: le riparazioni saranno pagate direttamente dalla società, non da noi. Camminando lungo la banchina, oltrepassati i moli della “marina” a cui sono attraccate molte barche (non molto grandi), si arriva al cantiere navale di Lussino, dove Bepi si accorda, per le riparazioni, con il capo-officina del cantiere. Mentre Bepi torna alla barca, dove sono rimasti anche Bruno, Guido e Sebastiano, noi donne e Attilio andiamo a Lussino (Lussinpiccolo). Dobbiamo uscire dal cantiere e percorrere la strada che costeggia il mare lungo un istmo, tagliato da un brevissimo canale artificiale che mette in comunicazione il mare est con il mare ovest dell’isola. Il ponte levatoio rimane aperto, se non ho capito male, solo di notte, e perciò solo piccole barche o motoscafi possono normalmente, di giorno, passarvi sotto. Si arriva in centro, sul bellissimo lungomare, dopo una camminata di circa 20 minuti. La passeggiata è davvero bella, molto curata, larga, orlata da case e palazzi talvolta monumentali, di impronta “anni venti”. Di fronte, sull’altra sponda del porto, si arrampicano sulla collina case colorate, di linea molto essenziale, semplice, raffinata: mi colpisce la caratteristica posizione del tetto a falda, ben diversa da quella cui siamo abituati noi. Sulla facciata anteriore della casa non si disegnano le due solite falde che si congiungono in mezzo, al colmo del tetto, di modo che la facciata assume l’aspetto della casetta “a punta”. La “punta” non si vede, se non rispetto ai fianchi laterali della casa. La falda, una sola, di tegole rosse, appare di piatto sulla facciata e risale fino al colmo del tetto. Le linee del colmo e della base del tetto si presentano come orizzontali lungo le facciate principali e parallele alla riva, prospiciente verso il mare: mi rendo conto che il tetto, così strutturato, forse offre migliore protezione all’edificio contro il soffio violento della bora, che da queste parti deve spirare senza pietà. Facciamo colazione ad un bar del lungomare e poi ci incamminiamo verso il centro, su per le strade e stradine in salita. Alle bancarelle “per turisti” si fa qualche acquisto, anche se i prezzi ed il tipo di roba direi che sono più o meno come i nostri. Poi ci dividiamo in due gruppi: Wanda ed Attilio vanno a cercare da mangiare per il pranzo e, soprattutto, a cercare una macelleria per farsi preparare ed acquistare i “rotolini” di carne mista macinata e speziata tipici della Croazia: i “cevàpcici”. Daniela, Valentina ed io ci infiliamo nelle strette stradine che salgono fino alla chiesa, preceduta da un ampio piazzale ben pavimentato. Dai piccolissimi cortili adiacenti alle case spuntano alberi e cespugli di oleandri in piena fioritura: rossi, bianchi, rosa, rigogliosi e grandi, molto belli.
Si torna alla barca. Fa molto caldo. I due giovanissimi meccanici sono ancora al lavoro e si tengono in contatto, evidentemente, con il loro capo, che viene a controllare. Guido, con il loro motorino preso a prestito, va in paese a comprare qualcosa. Verso le due del pomeriggio finiscono il lavoro. Mancia di 20 €uro: se la sono meritata. Hanno lavorato tre quattro ore in un caldo pesante, dentro alla barca.
Si pranza subito: ottimi i salsicciotti-cevàpcici cucinati da Wanda. Verso le 15 si salpa e si prende il largo. La navigazione, finalmente, è a vela per un paio d’ore. Si attraversa il Quarnaro, il mare è lievemente increspato, l’aria è limpida.
Si arriva in porto, alla Marina di Veruda verso le otto di sera e si attracca al molo da cui eravamo partiti. Daniela, Wanda e Valentina decidono che preferiscono non andare a mangiare alla Lanterna: vorrebbero andare a vedere “la partita” (Italia-Ucraina) che si gioca alle 21 e poi mangiare a bordo un’insalata e poco più. Bepi allora, appunto verso le nove, disdice telefonicamente la prenotazione. Alla spicciolata, chi non vuol perdere la partita si avvia lungo la passeggiata della Marina e poi, proseguendo, giù giù fino ad un locale “tedesco” sul lungomare di Veruda, dove, all’interno, in un caldo quasi insopportabile, è stato allestito un maxischermo televisivo. Io li raggiungo un po’ dopo, senza fretta, dopo essermi rinfrescata con una bella doccia. Ci sono anche altri amici (Sara, la giovane skipper di Pergine) e conoscenti di Bepi. Alla fine della partita attendiamo che ci raggiungano, come d’accordo, anche Wanda e Attilio, che sono rimasti nei paraggi della barca. Siccome tardano, Bepi decide di farsi portare un piatto di fritto di pesce e se lo gusta, con patatine fritte, insieme ai suoi amici. Finalmente arrivano i coniugi Carta e anche noi si cena verso le 23.30. Sebastiano è “sfinito” e Wanda non mangia niente: la famiglia Carta torna alla barca prima di noi altri. Bepi è visibilmente sollevato: nonostante il contrattempo dell’avaria a Lussino, tutto è andato molto bene e ci ha portati sani e salvi in porto, al sicuro.

Sabato 01.07.2006

Bepi riconsegna la barca dopo accurato check-out con “Marco” della società di charter. Sbarchiamo i nostri bagagli e facciamo colazione tutti insieme al bar della Marina. Foto di gruppo, allegri saluti. Attilio si avvia verso Parenzo (Poreč), ove intende fermarsi qualche giorno in albergo. Noi andiamo a Pola. Daniela e Valentina fanno qualche acquisto in un negozio, carino, di ceramiche abbastanza originali. Poi ci separiamo: loro intendono andare a dare un’occhiata a Trieste, mentre noi ci dirigeremo verso Trento. Andiamo a sederci ad un bar a bere un caffè (ottimo) ed una bibita. Fa molto caldo. Arriviamo fino al “colosseo”. Le tracce della città romana sono evidentissime. Il porto mi sembra molto ampio. Bepi mi dice che, per le barche a vela, è molto più bello e ben servito quello di Veruda.
Ripreso il viaggio di ritorno, troviamo il primo intoppo a Opcina, a causa di lavori sulla strada. Perdiamo almeno un’ora. A Portogruaro usciamo dall’autostrada Trieste Venezia e, dopo un lauto pasto-merenda in un bar deserto, imbocchiamo l’autostrada per Vittorio Veneto - Belluno – Feltre. A casa verso le 19 (a Pergine) e a Trento poco dopo!

 

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