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Per
la CRESTA DEL LEONE
Era il turno della Cresta del Leone.
La
prima volta arrivammo
fino alfiPic
Tindal, purtroppo in ritardo sulla
nostra tabella di marcia, non ci rimase
altro che ritornare indietro, ci aspettava l'ambito caldo al mare,
rimandando all'anno dopo la salita alla vetta del
Cervino.
La seconda volta con Marco e il "Gadler" salivamo agilmente i
facili ma insidiosi
passaggi che la montagna ci
poneva.
Il bivacco Carrel
č una tappa quasi obbligatoria per quelli che salgono in vetta o per quelli che
scendono dopo aver effettuato la bellissima traversata. Nel nostro caso
trascorremmo la notte in compagnia di altri. A mezzanotte giā nevicava. Sembrava
di essere in pieno inverno. Dalle piccole finestrelle si vedeva la neve sventata
accumularsi sui vetri. Fuori tutto buio e freddo. Un pianto attira la nostra
attenzione, era un giovane alpinista di Torino che insieme alla sua ragazza si
sentiva intrappolato dalla paura di scendere mentre lei invece lo confortava. La
mattina dopo, esposti al forte vento della cresta, con la neve ghiacciata che ci
tormentava i viso, iniziammo a scendere a corda doppia proprio da quel poggiolo
del bivacco che, fuoriuscendo dallo strapiombo, fungeva da ottimo ancoraggio per
la discesa.
Nonostante lo scenario si presentasse orrendamente severo (la parete vetrata,
la cresta smaltata di neve e la bufera), tanto da faticare a riconoscere dove
erano i chiodi per gli ancoraggi successivi, il morale era buono. Marco
non sapeva fare le "doppie" e quindi lo calai, gridandogli in un orecchio di
attaccarsi al primo chiodo o catena che trovava, comunque ricordandogli il posto
dove doveva arrivare. Scomparve subito oltre un tetto che nella salita si aggira
agevolmente, e dopo pochi metri sentė la corda fermarsi e non scendere pių. Non
riescivo a fare niente e allora scesi sulla doppia di due francesi che stavano
dietro di noi. Appena sotto il tetto vedo Marco attaccato a un piccolo chiodo:
lui attentissimo aveva
visto quell'invisibile chiodino e vi si era attaccato.
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